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Il bilancio delle emozioni

Ormai la maggior parte delle pubblicità viene creata e studiata con il principale obiettivo di emozionare, perché sono le emozioni a trasformare il pubblico in un vero e proprio consumatore.

Chiunque abbia mai studiato economia aziendale sa bene di cosa parlo se nomino un “mastrino”: riesco bene ad immaginare il terrore che nasce al solo pensiero di quella “T”, compagna di paure e di notti in bianco durante il periodo delle superiori.

«Il bilancio d’esercizio è l’insieme dei documenti che un’impresa deve obbligatoriamente redigere a fine esercizio» recita il nostro Codice Civile, lo descrive come un insieme di numeri che vengono associati a spese e ricavi e che creano un totale che dovrebbe rappresentare tutto quello che un’impresa è e che ha creato, venduto, trasmesso nel corso di un itero anno.

Ma è davvero tutto qui? Secondo alcuni no, c’è ancora di più.

«L’economia affettiva è una nuova concezione del marketing che interpreta la componente emozionale come una forza motrice che determina le scelte di consumo».

Le industrie puntano, secondo questo principio, a orientare gli acquisti dei consumatori attraverso le emozioni. Non si parlerà allora più di espressione bensì di impressione: il punto fondamentale diventa impressionare il pubblico e lasciare un segno.

Steven Heyer, ex presidente della Coca-Cola, coniò l’espressione capitale emozionale, attraverso il quale è possibile attirare sempre più consumatori, permettendo ai marchi di diventare dei veri e propri Lovemarks, ovvero brand che conquistano l’amore del pubblico.

Partendo dal potere delle storie e dalla funzione televisiva di storyteller (appunto, raccontare storie) i brand creano emozioni e trasformano i consumatori in veri e propri fan, fedeli, che mantengono relazioni forti con il marchio, acquistano prodotti sponsorizzati e che difficilmente si allontanano da questi.

Ed è così che sulla maglietta portiamo stampato il marchio di una bibita, così che su Instagram mostriamo le nostre scarpe.

Non è chiaro?
Oppure non vi sembra di averlo mai visto fare?
Nonostante sembri poco usata, questa è una tecnica che oggi, cercando con attenzione, possiamo ritrovare in moltissime pubblicità.

Pensiamo ad esempio ad una qualsiasi pubblicità di un’automobile e concentriamoci bene sull’immagine dell’uomo che descrive, che crea, che permette di sognare: un uomo mai debole, che sconfigge qualsiasi temporale o tempesta, con una donna accanto sempre fiera di lui. Non è come vi stesse dicendo “comprala, e avrai tutto questo”?
O ancora, pensiamo alle classiche pubblicità di biscotti per la colazione, ripiene di famiglie felici e senza alcun problema.

O a una qualunque pubblicità della Coca-Cola, per rimanere sulla marca citata in precedenza, che ad ogni occasione richiama quelli che sono i legami più importanti: la famiglia, l’amicizia, l’amore, le passioni e non manca mai di imprimere il proprio marchio su alcune delle più grandi festività, come il Natale ad esempio.L’industria stessa sponsorizza eventi sportivi, come anche la Ferrero, film e tutto ciò che le permette di essere molto più di quello che è: nessuno, oggi, oserebbe mai dire che la Coca-Cola è solo e soltanto una bibita.

È un’industria dell’intrattenimento vera e propria.
Vi saluto con un video, e non dite che non vi avevo avvertito: https://youtu.be/6ULZIz34wyY

Martina Casentini

Fonti: Henry Jenkins, Cultura convergente (2007)

 

Martina Casentini

Mi chiamo Martina Casentini, sono nata e vivo a Velletri (Roma), studio giornalismo e dal 1995 percorro la mia strada con una penna in mano. Ho messo la testa a posto, ma non ricordo dove. Mi piacciono i gatti, la cioccolata, il mare, le storie che hanno un lieto fine e tutte quelle cose che mi fanno venir voglia di scrivere.
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