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Piramo e Tisbe: dalla Francia all’Inghilterra

Come abbiamo visto (per leggere l’aricolo clicca qui), nella Francia medievale, la tradizione ovidiana ebbe grande risonanza. Oggi vedremo proprio il più antico dei rifacimenti ovidiani: il lai di Piramo e Tisbe.

Piramo e Tisbe, due giovani della Babilonia colpiti dall’Amore e che per Amore morirono. Così potremmo riassumere la storia dei due amanti narrata nel lai di Piramo e Tisbe che l’autore medievale prende da Ovidio e la sua “Bibbia dei gentili”. Questo episodio, proprio come l’autore del lai di Narciso, viene perciò tolto dal contesto ovidiano delle Metamorfosi e adattato secondo il gusto delle corti francesi.

L’autore anonimo ci racconta come questi due fanciulli, ancora bambini, siano stati colpiti dal dardo d’Amore e come, precocemente, abbiano scoperto l’ansia e le sofferenze che esso comporta. Continuando a giocare insieme, pian piano, si accorgono del piacere che entrambi provano nel guardarsi, intrattenersi e parlarsi. L’idillio amoroso, però, dura finché un servo, invidioso della loro felicità, riferisce tutto ai loro genitori. Da quel giorno a Tisbe fu imposto il divieto di uscire e a Piramo quello di vedere la fanciulla; iniziano così i tormenti dei due giovani amanti.

Un giorno, però, la fanciulla scopre una crepa sul muro che separa le due case e vi fa passare il capo della cintura, Piramo, ritornando da una passeggiata, se ne accorge e così i due possono tornare a comunicare. Benedicono quella crepa che permette loro di parlarsi e ascoltarsi ma allo stesso tempo maledicono il muro che non permette loro di toccarsi. Finché il richiamo dell’amore non li spinge a un incontro; fissano perciò un appuntamento di notte su una tomba di famiglia.

Al buio, col chiaro di luna, Tisbe arriva sul luogo ma, mentre attende l’amante, un leone con le fauci insanguinate interrompe i suoi pensieri. Fugge via ma perde il velo, che la bestia calpesta e macchia. Subito dopo Piramo arriva sotto il gelso e, alla vista del velo insanguinato, pensa che sia morta a causa sua. Decide perciò di uccidersi, invocando prima una preghiera agli dei: che i frutti del gelso conservino il lutto e il ricordo della tragedia, ricevendo il colore che più si addice al dolore. Poi prende la spada e si trafigge, così i gelsi, fin ora bianchi, diventarono neri. Quando Tisbe ritorna, alla vista del corpo morto dell’amato, decide di raggiungerlo nella morte, però prima prega i suoi genitori di deporre i loro corpi in un’unica tomba. Dopodiché prende la spada e la porta in petto, lasciandosi cadere sul suo amato, abbracciandolo e baciandolo finché i sensi e la vita non l’abbandonano.

Conclude così, l’autore, il piccolo poemetto impreziosito con gli stessi strumenti narrativi che abbiamo osservato nel lai di Narciso. In particolare, è interessante vedere come viene trattata la metamorfosi in Ovidio e nei due poeti anonimi.

Tanto è vero che, nel lai di Narciso, manca la metamorfosi del fanciullo in fiore, perché assistiamo ad un’altra metamorfosi: quella del giovane egoista in amante cortese. Proprio perché, così come mutano lo spazio e il tempo, anche le metamorfosi dei poemetti non possono essere uguali a quelle delle opere latine. Pure nel lai di Piramo la metamorfosi non ha la stessa caratterizzazione ovidiana. Difatti, in Ovidio, la metamorfosi di Piramo è paragonata a un fenomeno naturale ed è descritta con precisione scientifica. Nel poemetto medievale, invece, il cambiamento di colore avviene in poche parole e la causa è un intervento divino e non una legge fisica. Proprio perché il colore nero della mora riveste la funzione di tramandare il ricordo della morte per amore, come suggerisce la preghiera del fanciullo.

Non a caso, entrambi i lai, sono costituititi di importanti elementi simbolici; in epoca medievale si passa dal mito al simbolo. La differenza di trattamento della metamorfosi tra Ovidio e gli autori medievali sta proprio in questo: per il primo la morte degli amanti – sia nell’episodio di Narciso che quello di Piramo – rappresenta uno strumento eziologico, per i secondi, invece, alla spiegazione del mondo preferiscono l’esaltazione della fin’amor.

Lo scopo degli autori medievali è proprio quello didattico. Per l’autore del Piramus le caratteristiche dell’amore dei due protagonisti dovranno essere percepite dal suo pubblico come altrettante qualità da perseguire e da coltivare per meritare il cuore della persona amata: La storia dei due innamorati finisce qui. / Che esempio fu il loro, di amore leale!

Questo amore leale non finirà mai di essere ricordato, abbiamo appunto molte testimonianze di riferimenti a questi due giovani; così che la loro notorietà giunge fino a Dante. I due amanti raggiungono anche l’Inghilterra, dove troviamo l’autore che è riuscito a cogliere la duplice portata comico-tragica della storia dei tragici accidenti che la coppia ha offerto: Shakespeare.

Infatti, il commediografo, in Romeo e Giulietta, sviluppa il valore tragico degli eventi fino al suicidio e, in Sogno di una notte di mezza estate, riproduce la struttura narrativa della fonte classica: attribuisce al muro e al chiaro di luna lo statuto di personaggi e li pone al servizio di un comico intrattenimento regale.

Insomma, un amore che ha solcato i tempi e che, nel ventunesimo secolo, continua ad ammaliare ancora.

Federica Auricchio

La Redazione

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