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Per amore non si muore, o forse sì

Amore, donne, passione, musica e tradimenti hanno tinto di rosso l’anima di Carlo Gesualdo. Ma qual è la leggenda che ruota attorno al madrigalista? E chi era Maria D’Avalos?

Il castello di Gesualdo, situato nell’omonimo paesino di provincia, cela attorno alle sue rocce una leggenda senza pari, se di leggenda si può parlare.

Nella verde Irpinia, infatti, è possibile trovare tanti castelli ricchi di storia, ma quello di Gesualdo è sicuramente, ad oggi, il più affascinante. Il maniero gesualdino, risalente all’Alto Medioevo, si tinge di mistero a partire dal Cinquecento, quando il principe Carlo Gesualdo ne diviene l’abitante più illustre costringendo il castello a sentire tutte le notti le urla strazianti di un fantasma in cerca di ascolto.

Nel 1586, il principe Gesualdo da Venosa e la bellissima Maria D’Avalos, cugini di stirpe reale, convolarono a nozze nella chiesa di San Domenico Maggiore a Napoli. Ma questa unione, non di certo basata sui sentimenti, naufragò ben presto, e le mura di Palazzo San Severo, dove i novelli sposi andarono ad abitare, ne sono la testimonianza. Pare infatti, che poco dopo il matrimonio, dopo aver assolto i doveri nuziali con la nascita del loro primo figlio ed ufficiale erede, qualcosa cambiò. Carlo, molto malinconico e dedito particolarmente alla sua arte e alla sua musica, si allontanò molto dalla sua bella Maria, che a sua volta iniziò a fare altrettanto senza particolare risentimento finché, durante una festa, la donna incontrò Fabrizio Carafa, il duca d’Andria, il più affascinante del Regno di Napoli , con il quale nacque subito una forte passione.

Ma amore e tosse si sa, non si possono nascondere, e fu così che i primi mormorii iniziarono a farsi sentire. Carlo, impegnato nella composizione dei suoi madrigali e conoscendo troppo bene le dinamiche di corte, inizialmente non prestò attenzione a quelle cattiverie, convinto che la bocca degli invidiosi fosse sempre piena di veleno. Non potendo però sopportare quanto avveniva nelle camere segrete della principessa, lo zio del principe, Don Giulio Gesualdo, si decise a rivelare al nipote la scottante verità. Gli incontri tra Maria e l’Arcangelo, così denominato per la sua affascinante bellezza, erano infatti diventati sempre più frequenti e non erano più passati inosservati neppure alle orecchie del popolo. E fu così che il principe, non potendo più ignorare il dolore, mise in atto un piano per smascherare i due amanti. Avvisò l’ignara moglie che sarebbe stato via qualche giorno a causa di un’importante battuta di caccia, ma Carlo non abbandonò mai il castello e così, nel pieno della notte, quando i due amanti si erano ormai lasciati andare alla loro bruciante passione, irruppe nella camera del palazzo napoletano e, in preda alla gelosia, pugnalò a morte la giovane moglie e il desiderato amante. La mattina seguente, ciò che la mano di un uomo tradito aveva ucciso, fu trovato appeso all’entrata del palazzo turbando il risveglio del popolo napoletano.

Il giorno dopo, Carlo Gesualdo, ferito e con le mani sporche di sangue, per evitare la vendetta delle famiglie, fuggì nel castello di Gesualdo dove rimase chiuso per diciassette anni tra spartiti e dolore. Il principe cercò in tutti i modi di espiare i suoi peccati, dedicandosi all’arte e alla cura dell’omonimo paese, avviando la costruzione di chiese e monasteri per chiedere perdono a Dio. Ancora oggi, nella chiesa di Santa Maria delle Grazie, è conservato il dipinto che il principe commissionò al pittore Giovanni Balducci dal nome Il perdono di Carlo Gesualdo o La pala del perdono.

Ma nessuna tela ha potuto contro un’anima sporca e un’altra in pena. Pare infatti che tra le mura del castello di Gesualdo si aggiri ancora oggi una figura spettrale in cerca di ascolto. Qualcuno giura di aver sentito delle urla femminili venire da quelle stanze, qualcun altro di aver sentito dei pianti di dolore, qualcun altro ancora è convinto di aver visto Maria D’Avalos correre nel castello.

Leggende? Mito? Invenzione? Non si sa. Ma probabilmente non è così una coincidenza se si pensa che negli anni Novanta, durante il trasferimento dei corpi degli amanti uccisi, mentre quello di Fabrizio Carafa fu ritrovato, la tomba di Maria D’Avalos risultò essere vuota.

Adele De Prisco

La Redazione

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