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Prometeo: il sacro fuoco del progresso

Prometeo è un titano il cui nome, pro- metis, significa colui che pensa prima degli altri.

Era figlio di Giapeto, fratello di Cronos, e di Climene oppure di Asia, entrambe Oceanine, figlie di Oceano e Teti, e fratello degli altri tre titani Epimeteo, Menezio e Atlante; fra i quattro era sicuramente quello che spiccava per astuzia e scaltrezza.

È da sempre stato collegato alla lotta per il progresso ed alla libertà contro il potere precostituito, è noto per essersi sempre schierato dalla parte degli esseri umani.

Incarnazione dell’intelligenza e dell’inventiva, ma anche della furbizia e dell’intrigo, Prometeo, viene indicato da Platone come creatore della specie umana costituita dall’argilla a cui viene infuso il soffio vitale attraverso il sacro fuoco divino, nonché come inventore della scrittura, della medicina, ispiratore dell’arte, della metallurgia e dell’addomesticamento degli animali; abilità che trasmette agli uomini con il solo ed unico scopo di favorirli indirizzandoli sulla via del progresso.

Tutte le vicende mitiche che lo vedono protagonista sono legate ai suoi tentativi di favorire, talvolta anche con l’inganno, l’uomo a discapito della natura o degli dei.

Secondo una versione del mito Zeus concesse a Prometeo ed Epimeteo la distribuzione delle qualità e dei caratteri degli esseri viventi.

Epimeteo, colui che pensa dopo aver agito, rende gli animali più saggi e meno arroganti degli uomini, Prometeo per compensare a queste qualità escogita un piano per riequilibrare le sorti dell’umanità. Salito sull’Olimpo sottrae ad Atena la Saggezza e ad Efesto il fuoco.

Secondo un’altra leggenda il padre degli dei affidò a Prometeo l’arduo compito dell’equa spartizione delle carni di un toro, il che ovviamente, era soltanto un pretesto per misurare la furbizia dell’uomo e la sua devozione alla schiera celeste, il gesto avrebbe sancito la netta linea di confine tra il mondo terreno e quello divino.

Prometeo procedette con cura al taglio delle carni dell’animale, lo pulìcon perizia, raccolse le ossa e nascondette la parte più polposa nel ventre viscido e sporco del toro. Pose al vaglio ed alla scelta di Zeus le due porzioni, il quale scelse quella che apparve più pesante e meglio pulita. Ad un’osservazione più accurata Zeus si rese conto di essere stato ingannato poiché la porzione che aveva scelto era quella in cui erano presenti solo ossa, ben pulite ed accuratamente raccolte. A quel punto l’ira di Zeus verso il giovane fu incontenibile.

A seguito dell’inganno, Zeus decise di sottrarre all’umanità il fuoco, elemento naturale simbolo della conoscenza e rappresentazione della potenza divina nella mitologia greca, concesso agli uomini per fargli raggiungere il progresso. Ciò fece regredire l’umanità ad uno stadio inferiore, costringendola allo stato brado.

Zeus sottrasse poi anche il grano che era la principale fonte di sostentamento dell’essere umano e che cresceva in maniera spontanea nei campi, senza che l’uomo dovesse faticare per coltivarlo. Da questo momento in poi l’umanità fu costretta a lavorare alacremente per far sì che il grano crescesse, in attesa che i semi piantati germogliassero e scavando nella terra con le mani nude per la raccolta.

Per riparare al danno recato agli uomini, Prometeo, si introdusse segretamente sull’Olimpo e rubó il “seme del fuoco”, la scintilla vitale, che portò via su una torcia senza essere visto. Il fuoco che Prometeo donò agli uomini non era come il “fuoco eterno” divino, in quanto generato da un seme deve essere sempre alimentato.
La leggenda narra che quando Zeus vide brillare di nuovo sulla terrà la scintilla di un focolare si fece prendere da un’ira funesta ed implacabile e decise di punire duramente il titano e l’umanità intera. Incaricò Efesto, dio del fuoco, di creare una donna di rara bellezza alla quale poi infuse la vita. Le venne elargito ogni sorta di dono, bellezza, grazia, intelligenza, e in ultimo le fu donato dal padre degli dei, un vaso. Così venne spedita sulla terra per diventare la moglie di Prometeo, ma l’uomo, capendo l’inganno, la rifiutò. Purtroppo il fratello Epimeteo, essendo meno furbo di lui, prese la donna in sposa, la quale non tardò a tradire la promessa fatta a Prometeo di non aprire il vaso da cui fuoriuscirono tutti i mali del mondo.

Ma a Zeus non bastò che il suo inganno andasse comunque a segno. Sulle desolate rupi di Scizia, ai margini del mondo civilizzato, Efesto, su ordine del divino signore dell’Olimpo, catturò il Titano Prometeo e lo incatenò nudo ad una roccia, nella zona più alta e più esposta alle intemperie. Il vecchio Oceano, padre di Climene intervenne per tentare di mettere pace tra i due ma non vi riuscì. A Prometeo venne conficcata una colonna nel corpo ed un’aquila fu inviata affinché gli squarciasse il petto e mangiasse il suo fegato. Ogni notte il fegato gli ricresceva, consentendo all’aquila il giorno dopo di roderlo nuovamente, rendendo il supplizio eterno.

Solo dopo un numero non definito di anni, come narrato nella tragedia perduta di Eschilo “Prometeo Liberato”, Eracle, passando da quella stessa altura scorse il Titano e vedendo ciò che accadeva trafisse l’aquila e lo liberò spezzando le catene che lo tenevano prigioniero.

Secondo invece il racconto narrato nella Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro, durante un incontro tra Eracle ed i centauri, l’eroe utilizzò per difendersi delle frecce bagnate nel veleno dell’Idra, il leggendario mostro marino. Nello scontro il centauro Chirone restò inavvertitamente graffiato dalle frecce che gli recarono una sofferenza atroce ed interminabile poiché era immortale. Ottenne così di scambiare la sua immortalità con Prometeo che così finalmente fu libero dal supplizio.

Luisa Ruggiero

La Redazione

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