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Sin City: un noir spietato

Dalla passione di Frank Miller per il genere dei polizieschi e per i crimeè nato, nel 1991, Sin City, il ciclo di fumetti in cui ha fatto confluire tutta la sua carica hard boiled e noir, evidente ma sfumata invece nei fumetti dedicati a certi eroi. Due film prodotti che hanno rappresentato davvero bene ciò che erano i disegni e le storie, rimaste fedeli alle originali.

“L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. (I.C.)

L’inferno è certamente Basin City, la città che ha generato i suoi protagonisti, quelli cattivi e quelli più cattivi, perché se c’è una cosa certa è che a Sin City, così come è soprannominata, la giustizia passa flebile per certe strade buie attraverso gli scarichi delle fogne, guasta, debilitata dall’aria malsana che si respira, dal sottilissimo filo che separa ciò dovrebbe essere giusto e una carcassa crivellata che adempie al suo destino di putrefazione sull’asfalto nero.

Nero, come la tonalità predominante nei disegni, come il sangue rappreso, perché i colori servono solo in determinate occasioni per esaltare umori o malattie che infestano i personaggi. In questo sta l’iconografia del fumetto, nella sua essenzialità brutale che vuole nascondersi attraverso l’ombra, perché il male così acuto nelle forme vuole sempre mantenere il suo fascino impenetrabile. Eppure, i protagonisti, cicatrizzati nei loro corpi, sbattuti dal destino, hanno una corazza violabile che si lascia osservare, che li rende umani, dannati antieroi al servizio dell’occasione di giustizia che gli si presenta davanti.

In questo ciclo di oscurità, l’amore è un letto rosso a forma di cuore. Il sentimento può essere quello per una prostituta, per una femme fatale, per una spogliarellista salvata da bambina dalle grinfie di un pedofilo: in ogni caso è fonte di guai e fa sempre sanguinare troppo, è un tatuaggio su quel muscolo che sbatte violento contro la cassa toracica, lo sparo gonfio di un fucile verso un corpo inerme. Qualcosa che riempie, che fa dimenare, che fa combattere.

Si tratta di un gioco di antitesi terrene: la legge corrotta è dalla parte dei potenti, sadici, violenti, maniaci che non si pongono troppe domande, che non si fanno scrupoli. La Chiesa, a sua volta, genera mostri inviolabili e intoccabili, viziosi serpenti che inseguono il peccato. Insomma, tutto ciò che di male troviamo sparso nel mondo, a Basin City è concentrato, moltiplicato.

La città è un ventre aperto che genera mosche infette, larve di ciò che non dovrebbe essere, polimorfica negli aspetti del male.Ciò che funziona è sicuramente la giustizia privata da parte di coloro che hanno la fortuna o sfortuna di custodire in sé un barlume etico.

Gli intrecci delle storie creano una continuità, giochi di luci fredde e ombre avvolgenti.

Il fumo delle canne di pistola fuoriesce dai riquadri delle vignette, il sangue schizza sul volto del lettore, ma un pugno ben assestato farà tornare alla realtà, che a volte non è peggiore di questa città, l’inferno dei viventi, una tela su cui il pittore si è fatto esplodere il cervello.

Maria Cristiana Grimaldi

La Redazione

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