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La nomenclatura di Werner e la poesia nascosta nei colori

Rosso scarlatto, grigio perla, verde smeraldo, blu indaco, giallo ocra: questi colori non hanno bisogno di presentazioni, i loro nomi evocano nelle nostre menti un’immagine ben precisa, quella della tonalità esatta cui si riferiscono. Ma se oggi adoperiamo questa terminologia è grazie all’opera del mineralogista tedesco Abraham Gottlob Werner, autore della prima nomenclatura dei colori della storia.

Era il 27 dicembre 1831 quando un giovanissimo naturalista salpò – a bordo di un brigantino da guerra riconvertito poco prima in una nave da esplorazione – dal porto di Plymouth, in Inghilterra, per un viaggio alla scoperta dell’emisfero australe, osservando, catalogando e appuntando nel suo diario ogni dettaglio di quei luoghi tanto lontani quanto meravigliosi.
Non fu un viaggio qualsiasi, bensì quello che cambiò per sempre la nostra visione del mondo: quel brigantino era l’HMS Beagle e il naturalista di cui stiamo parlando il padre della teoria evoluzionistica, Charles Darwin.

In quei cinque anni trascorsi tra mare e terra egli ebbe modo di perfezionare le sue abilità analitiche e osservative, le stesse che gli permisero di formulare quel principio biologico totalmente rivoluzionario che si rivelò essere l’unico modo propriamente scientifico di interpretare la natura, le dislocazioni e le varietà di specie viventi inserite nei più svariati contesti e ambienti. Lavorare direttamente sul campo d’indagine gli permise di studiare in prima persona le caratteristiche geologiche dei vari continenti e di venire a conoscenza di un gran numero di organismi fossili e viventi allora sconosciuti alla scienza.

Ciò che emerge dal suo diario di spedizione – poi pubblicato nel 1839 con il titolo di Viaggio di un naturalista intorno al mondo – oltre alle sue ottime qualità letterarie, è l’attenzione posta sulla descrizione dei colori, che appaiono vividi come se avessimo davanti una fotografia delle meraviglie del mondo da lui illustrate.

A dirla tutta, questa non era una peculiarità specificamente di Darwin. I trattati scientifici dell’Ottocento, infatti, riportano nelle descrizioni di piante, animali o minerali una nomenclatura insolita, dei termini che oggi ci fanno sorridere per la loro singolarità: Bianco Latte Scremato, Blu Scozzese, Rosso Sangue Arterioso, Viola Imperiale, Verde Montagna, Verde Anatra, Giallo Del Re.

Da dove vengono fuori questi nomi? A svelarcelo è lo stesso Darwin.

“I had been struck by the beautiful color of the sea when seen through the chinks of a straw hat”- “It was according to Werner nomenclature ‘Indigo with a little azure blue’ [and] the sky at the time was ‘Berlin [blue]’ with a little Ultramarine”. 

“Ero stato colpito dal bellissimo colore del mare attraverso le fessure di un cappello di paglia” – “Secondo la nomenclatura di Werner era ‘Indaco con un poco di azzurro’ [e] il cielo in quel momento era ‘Berlino [blu]’ con un pizzico di Ultramarino”.

Nell’era pre-fotografica come sarebbe stato possibile parlare scientificamente di colori senza cadere in incomprensioni o inesattezze? Occorreva sicuramente mettere a punto una nomenclatura universalmente accettata da adoperare come sistema di riferimento.

Si cimentò nell’impresa il mineralogista tedesco Abraham Gottlob Werner, che nel 1814 – ai tempi del Congresso di Vienna – mise a punto la prima edizione della Werner’s Nomenclature of Colors (La Nomenclatura dei Colori di Werner), un manuale comprendente minuziosissime descrizioni dei colori che potevano essere trovati nei minerali, evidenziando ogni minima differenza cromatica con una terminologia coerente e da lui personalmente inventata.

Ciò che rese questo testo di un’inestimabile importanza storica fu l’intervento del pittore scozzese Patrick Syme, il quale corredò la guida con campioni di colore corrispondenti alle descrizioni di Werner e alcuni esempi degli stessi riscontrabili nel mondo animale e vegetale. Così come si presentava a seguito di quest’aggiunta, la Nomenclatura divenne un’incredibile risorsa per naturalisti e antropologi, un vademecum all’uso dei colori nelle descrizioni per ogni attento osservatore.

I colori descritti e rappresentati sono 110, divisi in dieci sezioni: Bianchi, Grigi, Neri, Blu, Viola, Verdi, Gialli, Arancioni, Rossi e Marroni.
A ogni colore corrisponde una descrizione, un nome particolare, un campione e tre esempi tratti dal mondo animale, vegetale e minerale.

La guida però non era infallibile: i colori del libro erano destinati a svanire, alterati dall’esposizione al sole, e spettava all’utente curarsi del “restauro”. Inoltre, se pensiamo al codice esadecimale che adoperiamo oggi per identificare le varie tonalità di colore, ci rendiamo facilmente conto di quanto fosse limitante disporre di soli 110 colori, comparati all’infinità di sfumature che riusciamo a rappresentare oggi.

Sebbene questo testo mancasse di una totale oggettività, il suo valore sta nell’aver mostrato quanta poesia possa ispirare l’osservazione del mondo naturale, considerando anche la difficoltà di tradurre in parole qualcosa di intangibile e personale come il colore.

N.7: Skimmed Milk White (Bianco Latte Scremato) “è un bianco neve misto a un poco di blu Berlino e grigio fumo”. Possiamo trovarlo nel “bianco degli occhi umani” o negli opali.

N.64: Wax Yellow (Giallo Cera) è “composto da giallo limone, bruno-rossastro, e un pochino di grigio cenere.” Si può trovare nelle larve di grandi scarabei d’acqua o nelle parti verdi di una mela.

N.87: “Arterial Blood Red” (Rosso Sangue Arteriale) è “il caratteristico colore della serie dei rossi”. Si trova sulla “testa del gallo” o nelle ciliegie.

 

di Rebecca Grosso

La Redazione

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