Dell’amore e di altri demoni: quando il degrado emoziona

Scritto col solito stile di denuncia tipico di García Márquez, Dell’amore di altri demoni rivela la “normalità” di alcuni comportamenti riprovevoli. Saperli tali fa accapponare la pelle, e in un certo senso emoziona.
“Il 26 ottobre 1949”. Non ho saputo trovare un inizio migliore per questo articolo che l’incipit stesso di una nota di García Márquez posta a prefazione de Dell’amore e di altri demoni. Questo perché, importante ricordarlo, il romanzo prende il via da un episodio accaduto all’autore alla fine degli anni Quaranta: il convento di Santa Clara sta per essere smantellato per far posto a un modernissimo hotel a cinque stelle e un giovane Márquez, allora giornalista in erba, è mandato a documentare i lavori per lo svuotamento delle cripte del convento.
“Ma nella terza nicchia dell’altare maggiore, dalla parte del Vangelo, ecco la notizia. La lapide schizzò via in pezzi al primo colpo di piccone, e una chioma viva di un color rame intenso si sparse fuori dalla cripta. Il capomastro volle estrarla intera con l’aiuto dei suoi operai, e più la tiravano e più sembrava lunga e abbondante, finché non uscirono gli ultimi capelli ancora attaccati a un cranio di ragazzina. Nella nicchia non rimasero che pochi ossicini minuti e dispersi, e sulla lapide di pietra corrosa dal salnitro era leggibile solo un nome senza cognomi: «Sierva María de Todos los Angeles»”.
Posta la chioma a terra, la sua lunghezza è stimata dai presenti, ventidue metri.
In questa scena Márquez testimonia quella fusione tra superstizione e realtà, molto comune in Colombia e passata alla storia nei suoi romanzi sotto il nome di “realismo magico”. Nessuno stupore, per una convinzione comune, i capelli continuano a crescere anche dopo la morte. La misura pareva attendibile considerato che erano passati duecento anni.
“A me, invece, non sembrò così comune, perché da bambino mia nonna mi raccontava la leggenda di una marchesina di dodici anni la cui chioma le strascicava appresso come la coda di un abito da sposa, che era morta di mal di rabbia in seguito al morso di un cane […] L’idea che quella tomba potesse essere la sua fu la mia notizia di quel giorno, e l’origine di questo libro”.
Dopo questa breve nota introduttiva, ha inizio il racconto. Márquez, già dal primo capitolo, entra nel vivo della scena: un cane rabbioso morde quattro persone e tra queste si cela la piccola marchesina. Un inizio che ricorda vagamente le prime parole della sua opera più conosciuta: Cent’anni di solitudine. Come nel destino del colonnello Aureliano Buendía, posto davanti ad un plotone di esecuzione, c’è una certa tragicità anticipata anche in quello di Sierva María, le stesse note cupe.
Con questo romanzo Gabo riprende il suo solito stile di denuncia e descrizione di luoghi decadenti. Siamo in una Colombia ancora schiava del colonialismo spagnolo e stretta nella morsa della Santa Inquisizione. La piccola marchesina cresce nonostante un padre pigro, che non le ha mai voluto bene fino al giorno della sua presunta malattia, e una madre che di bene non gliene vorrà mai. Sierva María crescerà sotto la premura degli schiavi della tenuta. Imparerà la loro lingua e i loro costumi.
Ma per il momento è il caso di fermarsi qui con la trama, questo è quanto c’è da sapere per non rovinarsi la lettura. Non cercate altro sulla storia. Dell’amore e di altri demoni è un libro che un lettore amante della felicità e della bellezza canonica non può leggere. In quest’opera è forte il disgusto che si prova per certi aspetti dell’animo umano, moltiplicato dallo stile dell’autore che racconta il tutto con una normalità impressionante, come se la gente di quel posto veramente si fosse abituata a tutta la sofferenza del mondo. Pensare che ci si può abituare a tutto quel male fa venire un nodo allo stomaco. Stile asciutto insomma, scevro di pomposità tragica. A mio avviso emozionante.
Null’altro da aggiungere, chi fosse interessato cliccando qui (https://www.instagram.com/raffaelei/), scorrendo l’home e trovando la copertina, può gustare le pagine della prefazione al libro per scegliere se fa al caso suo.
L’augurio è sempre lo stesso: buona lettura.
Raffaele Iorio