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Il primo trapianto di cuore della storia

di Martina Casentini

Christiaan Barnard fu un grande chirurgo e, anche se non tutti riescono a riconoscerlo soltanto dal nome, vi accorgerete, leggendo, di riconoscere la scia che ci ha lasciato.

Christiaan Barnard fu un grande chirurgo, ma prima di essere chirurgo fu un uomo e in quanto uomo possedeva desideri, alcuni deboli ed altri irresistibili. Tra questi ultimi ce n’era uno, contemporaneamente il peggiore ed il migliore: quello di voler superare qualsiasi limite che la vita gli metteva davanti. Fu proprio questo suo desiderio, forte e potente in lui, che gli permise, il 3 dicembre del 1967, di eseguire il primo trapianto di cuore su un essere umano e di diventare così parte della storia della medicina.

Barnard fu il primo e lo fu per caso e per fortuna. Non fu certo facile, ma Louis Washkansky fu l’occasione, fu il prescelto, fu l’uomo che permise a Barnard di eseguire un’operazione per la quale molti altri chirurghi si stavano preparando già da tempo.

Washkansky fu il primo uomo a cui venne trapiantato un organo appartenente ad un’altra persona e che, oltre ad avere un cuore quasi completamente in disuso, aveva fuori gioco anche tutta la sua vita: era un uomo in punto di morte e proprio per questo permise al chirurgo di correre quel rischio, quello del fallimento. Le possibilità di riuscita, infatti, a quel tempo si potevano contare sulle dita di una mano, ma in questo modo il rischio apparve più leggero da affrontare.

Il paziente morì diciotto giorni dopo l’intervento, a causa di una polmonite, ma diede il via ad un processo di innovazione scientifica che oggi permette di ridurre sempre di più le probabilità di rigetto e di infezione, rendendo la medicina capace di superare quei limiti che un tempo sembravano insuperabili.

Inoltre, all’epoca quell’operazione trasformò Barnard in un vero e proprio assassino: la donna alla quale fu espiantato il cuore, infatti, vittima di un incidente stradale, secondo le leggi di allora era ancora viva, in quanto il suo cuore era ancora in funzione. Oggi l’espianto avviene solo una volta dichiarata la morte celebrale del paziente, dopo la quale questo viene “mantenuto in vita” tramite dei macchinari che ne permettono la conservazione. L’introduzione di questo concetto ha permesso in un certo senso la legalizzazione dei trapianti di organi, rendendo possibile espiantare un organo ancora funzionante da un corpo che ormai non lo è più.

Attualmente risulta sempre più difficile, però, far fronte al numero sempre maggiore di persone che aspettano un nuovo organo e di altre che, inconsapevolmente, non si rendono conto di quanto un organo possa ancora salvare, continuando a vivere nel corpo di una nuova persona.

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La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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