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Frida et Diego, une passion dévorante: l’amore nell’arte e l’arte nell’amore

di Sveva Di Palma

Nella sala – affollatissima di un pubblico eterogeneo ed entusiasta – del Teatro Augusteo di Napoli, si è tenuta dall’11/10 al 14/10 l’annuale rassegna di documentari e film riguardanti le arti visive e figurative, conosciuta come Artecinema.

Ho partecipato a questo evento culturale da sola, preferendo la compagnia delle cuffie per la traduzione simultanea e di un centinaio di sconosciuti appassionati d’arte a quella di chiunque altro. Assistere ad uno spettacolo da soli è diverso, liberatorio. Il cellulare senza linea, Internet un pensiero remoto, lontano, distante. Niente distrazioni, niente comunicazioni lampo. Solo un pubblico attivamente partecipe – seppur inebetito – ed uno schermo. La possibilità di prestare un’attenzione intensa, totale, coinvolta.

Essere nel momento.

La proiezione del documentario francese intitolato Frida Kahlo et Diego Rivera, une passion dévorante, realizzato dalla giovane documentarista e giornalista Catherine Aventurier è preceduta da un’intervista a quest’ultima; una piccola, necessaria, presentazione che definisce già il taglio, la prospettiva, la suggestione della sua opera.

Le regista risponde alla domanda (interessante e opportuna) dell’intervistatrice : “Sono stati realizzati già moltissimi lavori, sia di taglio documentaristico che semplici film, su questo stesso argomento, su Frida in particolar modo. In cosa il suo è diverso?”

Con umile sicurezza, spiegando quanto sia affascinante studiare il lavoro di una “coppia” di artisti, affettivamente e artisticamente vincolati l’uno all’altro, l’Aventurier sottolinea quanto sia poco necessario che questa “coppia” sia formata da due amanti e quanto invece sia sperimentale ed intellettualmente stimolante prendere in considerazione anche altri tipi di “coppia”, citando l’esempio di Renoir padre e Renoir figlio.

Un’altra novità, un nuovo point of view, su cui la donna preme molto, è la rivalutazione e riscoperta della figura del marito di Frida, il pittore messicano Diego Rivera.

Negli anni ’20-’30 e ’40 del Novecento considerato pittore grande, magnifico nel suo paese, è stato successivamente eclissato dalla leggenda della moglie in modo progressivo ed inarrestabile.

La durata del documentario è di circa 60 minuti, alla fine dei quali il pubblico, ammutolito, riesce solo ad aprirsi in un collettivo, sincronico, scrosciante applauso. L’Arte è arrivata, ha emozionato, ha istruito.

Catherine Aventurier, attraverso un approccio bilaterale, attingendo a foto e video di repertorio, ma anche scovando filmati poco conosciuti che colgono Frida e Diego nelle loro vite familiari, in atteggiamenti intimi e affettuosi, ha creato un film d’impatto, che coinvolge tutti i sensi. L’utilizzo intelligente del materiale, delle talking heads di esperti e curatori sempre a proposito e mai ridondante, pesante o noioso, dà all’opera quel ritmo informativo e pedagogico proprio del documentario ben fatto.

Il montaggio è perfetto, serrato quando narra e morbido quando divaga, emoziona. Tuttavia, la vera meraviglia, il vero talento filmico si riconosce nella ricerca, nell’approccio che repelle ogni banalizzante generalizzazione o qualsiasi conclusione affrettata, nella evidente passione per l’Arte in quanto tale.

Frida e Diego vengono sì trattati come una moglie ed un marito, la loro tormentata storia d’amore viene indagata, approfondita, ma mai disgiunta dalla simultanea analisi dell’evoluzione artistica. Come l’arte vive nell’amore, l’amore vive nell’arte, due facce della stessa medaglia, inseparabili, componenti strutturali di un tutt’uno indissolubile.

La regista sceglie di restituirci le essenze dei suoi soggetti attraverso ampie inquadrature mozzafiato sui sensuali murales dipinti da Diego Rivera (opere gigantesche e monumentali, preziose testimonianze di un popolo che nei primi trent’anni del Novecento era in tumulto, alla ricerca delle proprie radici leggendarie), così come indugia a lungo, con inquadrature più strette, quasi claustrofobiche, sui dettagli delle opere più intimiste di Frida.

La rivoluzione messicana è protagonista di questo documentario esattamente quanto Frida e Diego. La macrostoria e la microstoria, la storia collettiva e le storie personali, si tengono e contengono le une nelle altre, come scatole cinesi.

Diego e Frida si amarono, amarono dipingere, amarono farlo insieme e separati. Crebbero e si distrussero, vissero intensamente i cambiamenti culturali del loro tempo, l’industrializzazione e il fordismo, la ribellione e la ricerca, indietro nel tempo, di un’era d’oro. Frida fu una donna di anacronistica e pionieristica emancipazione, che si lasciò andare alla sua sete di vita, al suo sentire pieno e focoso, amante devota ma artista indipendente.

L’obiettivo principale ed ultimo della rassegna Artecinema – ovvero quello di attirare ed educare la sua audience all’informazione e allo studio della storia dell’arte – viene così pienamente raggiunto, con l’aggiunta di lasciare nel pubblico lo stupore, la curiosità, la spinta a saperne di più.

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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