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Argonauti: da Apollonio Rodio a Bronislaw Malinowski

di Cinzia Abis

Cos’hanno in comune il poema epico Le Argonautiche di Apollonio Rodio del III secolo a. C., e la monografia etnografica Argonauti del Pacifico occidentale di Bronislaw Malinowski, pubblicata nel 1922?

O, più in generale, come e perché potremmo mettere a confronto il mito greco della spedizione argonautica con quello trobriandese della canoa volante?

Se il primo è stato oggetto di scrittura e riscrittura da parte di poeti greci e latini, il secondo è stato rielaborato, trascritto e fissato su carta da un antropologo, straniero rispetto a quella stessa tradizione mitica, solo agli inizi del Novecento. Eppure, proveremo qui ad individuare analogie e differenze tra miti tanto lontani, nel tempo e nello spazio.

Il mito della canoa volante viene descritto da Malinowski come spedizione archetipica rispetto alle spedizioni in mare, condotte a bordo di canoe cerimoniali. Tali spedizioni avvengono nel quadro dello scambio rituale del cosiddetto Kula. Si tratta di uno scambio di doni e beni che coinvolge le diverse popolazioni che abitano le isole Trobriand – osservato dall’antropologo polacco in Papua Nuova Guinea.

Il mito racconta le gesta dell’eroe della prima spedizione, perciò mitica, reiterata dagli argonauti trobriandesi presso cui, per motivi di ricerca, Malinowski ha a lungo soggiornato, condividendone la vita quotidiana. Il mito trobriandese trova una prima eco in quello greco proprio nell’aggettivo “volante”, lo stesso impiegato per descrivere la nave degli argonauti greci, nella sua Medea, dal tragediografo greco Euripide.

Medea, principessa della Colchide, per mezzo delle sue arti magiche, aveva fatto in modo che lo straniero Giasone, a capo della spedizione degli argonauti, conquistasse il vello d’oro. Con l’eroe greco, Medea fuggirà e si unirà in matrimonio.

Chi scrive è dell’avviso che sia degno di nota soprattutto un dato comune ai due racconti mitici: in entrambi si pone in rilievo il ruolo dell’albero, del tronco, con cui sono state costruite rispettivamente le due imbarcazioni. Un tronco non ancora sbozzato, ma che contiene in nuce l’identità e i significati che qui si vogliono dire. Intanto, in entrambi i miti v’è forse un’identità tra il tronco, l’imbarcazione mitica e l’eroe umano.

Ma, in particolare, vorremmo mettere in luce un altro aspetto della questione: il tronco dell’albero, in quanto tale, proviene dal regno della natura; si offre cioè in uno stato di selvatichezza che, solo grazie all’intervento umano, viene trasferito nel regno della cultura. Anzitutto attraverso la sua trasformazione in artefatto culturale: un’imbarcazione.

Inoltre, va osservato che il volo della canoa trobriandese si connota a livello simbolico come viaggio d’iniziazione: è un viaggio che implica il ritorno, come quello narrato nell’Odissea. Lo stesso si può dire del viaggio degli argonauti greci. Ma se i Trobriandesi nel corso del loro viaggio in volo si muovono verso Occidente, i Greci si muovono navigando verso Oriente. In entrambi i casi, però, si fa ritorno a casa, da dove si è partiti.

Anche quello alla ricerca e conquista del vello d’oro può essere inteso come viaggio iniziatico, come metafora di un percorso di scoperta e conoscenza. A livello individuale ed esistenziale, alludendo eventualmente ad uno stadio evolutivo conquistato dopo il superamento di una serie di prove. E, più palesemente, a livello collettivo, attraverso la conoscenza di terre e genti straniere; culture aliene…

Oltre alle analogie è interessante e necessario portare alla luce anche le differenze tra i due miti. Nella Medea di Seneca, autore latino, la navigazione degli Argonauti greci viene ad essere oltraggio – e dunque colpa umana – da punire per aver sfidato il mare navigandolo. Seneca spiega l’infanticidio di cui si macchierà Medea, abbandonata da Giasone, con la colpa originaria di questi.

Medea ucciderà per vendetta i loro due figli violando, col più atroce dei delitti, l’ordine sociale così come Giasone, con i suoi compagni di viaggio, aveva violato l’ordine cosmico. Cioè, i sacri limiti imposti dagli dèi, i confini che avevano prima di allora separato nettamente genti e terre lontane.

Nel viaggio – volo della canoa trobriandese non ritroviamo, invece, il tema della tracotanza umana e della sua punizione da parte degli dèi. L’eroe trobriandese della spedizione mitica è un antenato che riferisce ad altri uomini, ai posteri, un diverso rapporto uomo-natura e un diverso rapporto natura-cultura. Forse, reca in sé pure una diversa concezione del rapporto tra caos e cosmo. Infine, significa forse una diversa concezione della scoperta di culture e popoli diversi, non foriera di pericoli, tragica, come nel mito greco.

Nel mito trobriandese, d’altronde, l’imbarcazione non naviga il mare. E il volo allude alla separazione dalla terra, metaforicamente dalla madre. Separazione che consente di aggirare le leggi della Natura, senza per questo violarle.

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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