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La ricerca della felicità

di Veronica Nastri

Esiste una parola così abusata come felicità? Sfuggente e al tempo stesso banale, così evidente ma non sappiamo precisamente cosa sia e, quindi, neanche dove trovarla.

Credo che nessuno, alla domanda vuoi essere triste o felice, risponderebbe triste. Eppure, quando ci viene chiesto sei felice? Esitiamo sempre a rispondere e spesso ci affidiamo a un diplomatico “sì, dai, abbastanza”. Sappiamo poco di quel che significa essere tristi e ancora meno di quel che significa essere felici.
La felicità è una chimera evanescente e fragile, ecco perché tutti la bramano. “Eudaimonia” (εὐδαιμονία) la chiamava Aristotele per distinguerla dall’edonismo, il piacere immediato, proprio perché tende a sfuggire risulta così preziosa.
La felicità è un mistero e oggi la nostra società sembra volerci obbligare a essere felici a tutti i costi, proponendoci dei modelli sterili di realizzazione perlopiù basati sul possesso. Cose già viste, a ben pensarci. Gli dèi dell’antica Grecia erano belli, immortali ed eternamente giovani; passavano la vita ad amoreggiare, ridere e trastullarsi in banchetti (anche a farsi la guerra, di tanto in tanto). Tutti oggi firmerebbero per una vita così perché la immaginiamo perfetta.

I modelli di felicità presenti nelle pubblicità, proprio per il fatto che il marketing gioca con la nostra insoddisfazione, propongono sempre uomini e donne belli, affermati, sempre giovani. La realtà è molto più complessa e questi desideri ci spingono a lavorare per ottenere quegli obiettivi. Spesso, una volta ottenuti, ci sentiamo vuoti e insoddisfatti. E torniamo al punto di partenza.

Tutti vogliamo la felicità, ma quella vera e inebriante è sfuggente, sembra irraggiungibile. Anche quando crediamo di averla raggiunta o solo sfiorata, presto sparisce perché, oltre che rara, è purtroppo transitoria.

Dove possiamo trovarla allora? Ognuno deve trovare le sue risposte.

Non esiste una ricetta o un manuale che garantisca il raggiungimento di essa. L’unico modo per comprendere appieno il suo concetto è conoscere se stessi, conoscere i propri limiti e saperli accettare, senza voler continuamente mettersi alla prova.

L’ossessione per la felicità ci rende infelici. Si cerca di essere perfetti nel corpo, nella mente, nella carriera, per ambire ad essere “più felici”, ma in realtà si raggiunge l’effetto contrario.
Per un attimo, tuttavia, cerchiamo di osservare meglio la realtà che ci circonda. Guardandoci intorno, infatti, possiamo cogliere più facilmente l’infelicità delle persone: nella metro gli sguardi bassi, le teste tra le mani, la stanchezza. C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, ma in realtà tutto ciò non è altro che un’effimera rassicurazione di un futuro certo, che viene data all’uomo.

Quante volte capita che ci comportiamo in alcuni modi solo per assecondare quello che le persone vogliono da noi: ci sentiamo soffocare, ma resistiamo all’apnea senza battere ciglio, semplicemente perché si deve fare così e non c’è altra ragione al mondo. Certo, esistono degli impegni che si prendono, dei lavori che si deve fare per poter vivere. Tuttavia, vivere la propria vita come schiavi senza assaporare la propria libertà, senza neanche il coraggio di sognarla una libertà, è quanto rende infelice l’essere umano.

In sostanza, la felicità dipende dalla capacità di costruire la propria vita in maniera autentica, è una scelta, una strada da percorrere: non è il contrario della tristezza, ma la consapevolezza della fragilità che abita in ognuno e la capacità di amare questa fragilità come il bene più prezioso che possediamo.

“Se non trovi la felicità, cercala dentro”.

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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