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Il profiling: nella mente di un serial killer

di Ferdinando Ramaglia 

Dal profiling a Ted Bundy.

Tutti abbiamo visto almeno una serie tv o un film che raccontasse di complesse menti criminali; basti citare serie come l’ultimo capolavoro Netflix “Mindhunter” o pellicole importanti come “Il silenzio degli innocenti” per essere incuriositi dall’oscuro fascino del male. Ma cosa c’era nella mente di Hannibal Lecter quando assassinava e preparava banchetti con i resti delle sue vittime? Perché i serial killer sono soliti “ritualizzare” i propri omicidi? Perché le stesse modalità?

Ad oggi è possibile rispondere a numerosi interrogativi tramite il criminal profiling. Tecnicamente, il profiling è uno strumento di analisi investigativa che stila una lista precisa di tutti i possibili tratti della personalità del criminale basandosi sui più minuziosi e particolari dettagli presenti sulla scena del crimine.
Nella compilazione di questa scheda tecnica di personalità si prendono in considerazione sia dinamiche psicologiche dell’autore del delitto sia una valutazione del comportamento sociale dell’individuo. Questo perché una persona non può mai essere presa in considerazione solo per la propria individualità, ma è la relazione con l’altro che a volte ci fornisce un quadro più completo.
A tal proposito Robert Ressler innovò metodologicamente il profiling, inserendo all’interno della schedatura non solo le caratteristiche dell’individuo, ma anche quelle della vittima.
Grazie a questa tecnica fu possibile predire l’età, il disturbo psichico e l’intelligenza di uno dei più spietati assassini della storia dell’umanità: Ted Bundy. Quest’ultimo può essere considerato un esempio lampante del funzionamento della logica della profilazione criminale.

Tutte le vittime di Ted Bundy avevano tra i 18 e i 21 anni; dopo averle strangolate o picchiate a morte, venivano stuprate ripetutamente, anche alcuni giorni dopo il loro decesso; la componente di natura sessuale fu determinante nel diagnosticare la psicopatia sessuale di cui soffriva il serial killer.
In questa patologia di forte impronta narcisistica, il sesso viene usato come uno strumento di controllo verso l’altro nel tentativo di soddisfare le pulsioni più elevate attraverso la riduzione ad oggetto di un’altra persona.
Un altro elemento che permise di collegare questa forma di psicopatia a Ted Bundy fu il modo in cui egli adescava le vittime: fingendosi un poliziotto o utilizzando la “tecnica del braccio rotto” faceva entrare le povere e inconsapevoli ragazze nella sua Volkswagen Maggiolino.
Una volta dentro non vi era più scampo: sia la maniglia che il finestrino della macchina erano stati bloccati in modo che non si avesse via di fuga, dopodiché le portava in luogo isolato in cui consumare il crimine.

Una delle caratteristiche principali degli psicopatici è quella di essere dei professionisti della seduzione, solo per scopi brutalmente strumentali. Un’altra caratteristica che andò a confermare l’ipotesi della psicopatia fu da una parte la completa assenza di empatia di Ted Bundy, dall’altra il machiavellismo che lo aiutò a rimandare due volte la pena capitale.

Un interessante studio di Ali e Chamorro-Premuzic (2009) conferma le connessioni tra psicopatia, machiavellismo e un deficit di empatia.
«Il machiavellismo implica strategie interpersonali che promuovono l’inganno, la manipolazione e lo sfruttamento, e l’individuo machiavellico può essere descritto come cinico, dominatore, distaccato e pratico (McHoskey, Worzel, & Szyarto, 1998).
Gli individui machiavellici sono manipolatori di successo caratterizzati da mancanza di affetto interpersonale nelle relazioni interpersonali e mancanza di interesse per la morale convenzionale. Psicopatia e machiavellismo sono stati recentemente associati con l’autoefficacia emotiva, cioè una componente dell’intelligenza emotiva. Essere in grado di entrare in empatia è una parte importante dell’intelligenza emotiva. L’empatia, infatti, è nota per inibire e moderare l’aggressività. Ricerche precedenti indicano che gli individui psicopatici clinici mostrano un deficit empatico selettivo in quanto sono alterati nel riconoscimento di espressioni facciali tristi e impaurite.»

Possiamo immaginare come i risultati di questo studio possano riflettere esattamente l’immagine clinica di Ted Bundy, identificandolo proprio nel modo in cui egli stesso si descrisse poco prima di morire, ovvero come:                                       

“il più gelido figlio di pu****a che incontrerai mai”

Si può dire che in questo caso la scienza, attraverso la profilazione criminale, abbia confermato l’autodescrizione di Ted Bundy, ma con un linguaggio sicuramente più tecnico e meno colorito.

La Redazione

Ciao! Sono la Redazione de La Testata – Testa l’informazione. Quando non sono impegnata a correggere e pubblicare articoli mi piace giocare a freccette con gli amici.
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