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Bojack Horseman: Faccia da cavallo

Spesso ci ritroviamo ad essere schiavi della concezione secondo cui un qualsiasi lavoro di animazione non sia da prendere seriamente ed adatto esclusivamente ad un pubblico non “adulto”.

Bojack Horseman non è così; all’inizio questa serie dalle tinte un po’ grottesche ma mature potrebbe apparire come l’ennesimo cartoon per adulti. Andando oltre i primi episodi risulteremo già catturati dai suoi personaggi stravaganti che si destreggiano in una Hollywoo(d) pazza e frenetica.

Bojack Horseman è una serie Netflix che narra le vicende di un uomo-cavallo, star in declino della sitcom “Horsin’ Around”; è accompagnato da un caleidoscopio di personaggi, tra animali antropomorfi ed esseri umani, tutti ben caratterizzati, con molti difetti e pochi pregi che empaticamente catturano lo spettatore.

Tutto quello che vorrebbe Bojack è solamente essere amato e acclamato come la star che crede di essere. Nell’arco delle tre stagioni ci sembra sempre di avere a che fare con personaggi che fingono di muoversi avanti nella loro vita, per poi ritornare tutti sui propri passi in maniera catastrofica.

Bojack arriva al punto di dover ingaggiare una ghost writer per poter trascrivere le sue memorie: è talmente preso dal costruire un’immagine che reputa socialmente accettabile da non riuscire più a convivere con la sua storia.

Cade quindi in un circolo vizioso di alcool, droghe, autocommiserazione e distruzione in cui incolpa sempre la società, arrivando a capire le proprie responsabilità solo quando ormai è troppo tardi.

Tutta la serie sembra ruotare attorno alla definizione di Zygmunt Bauman della società come società liquida in cui gli individui diventano consumatori di altri individui.

In questa società la vita è sempre più frenetica e volta al soddisfacimento del gruppo rispetto al singolo; tutto ciò comporta la creazione di rifiuti sociali che altro non sono se non chi non riesce a stare al passo con questo ritmo frenetico non integrandosi con la società moderna. Il nuovo povero diventa, quindi, colui che cerca la felicità nell’approvazione della società e nell’integrazione con essa.

Allo stesso modo Bojack Horseman, e non solo, cerca la felicità nella gloria e nel successo mai avuti dalla società di Hollywoo(d) e pertanto tenta di produrre qualcosa che possa valergli una vita di sbagli e cattive scelte.

La genialità di questa serie sta proprio nella maturità e profondità con cui questi temi vengono trattati, in una maniera talmente schietta da risultare a volte dolorosa ma inserita in un contesto perennemente tragicomico e in alcuni casi esilarante.

Hollywoo(d) è solamente una lente d’ingrandimento sulla società che svuota individui al posto di riempirli. Data la pesantezza degli argomenti è stata saggia la scelta di usare un media di animazione piuttosto che qualcosa che coinvolgesse attori in carne ed ossa perché ciò riesce a stemperare un clima che potrebbe sennò risultare eccessivamente pesante con le sue frecciatine ciniche e nichiliste, ma attuali oggi più che mai.

Le animazioni e la narrazione sono ineccepibili: l’atmosfera è sì inverosimile e bizzarra, ma è costruita talmente bene da risultare molto realistica. Innumerevoli sono le citazioni e le parodie di film, attori e cantanti presenti nella serie, tutti inseriti in maniera impeccabile e geniale.

Bojack Horseman è come un pugno nel nostro perbenismo e perfezionismo, uno di quei pugni che qualche volta è meglio prendere.

Davide Cacciato

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Davide Cacciato

Sono Davide Cacciato, siciliano trapiantato a Napoli classe ‘97. Laureato in lingue e culture orientali, so dire “ho sonno, lasciami stare” in 10 lingue diverse. Copywriter e content maker freelance, redattore e vice art-director per La Testata fin dalla sua nascita. Il mio maggior pregio? Senz’altro la modestia!
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