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I travestiti di Lisetta Carmi: racconti di vita al margine

Ci vuole coraggio per raccontare le periferie umane senza giudizio.

Lisetta Carmi, con il suo racconto fotografico I travestiti, è la prima donna ad aver documentato la vita della comunità LGBTQ in Italia.

Lisetta ci regala un prezioso pezzo di storia altrimenti sommerso, silenziato da un’Italia ancora troppo immatura per guardare al diverso.

 

Via del Campo c’è una graziosa 
gli occhi grandi color di foglia 
tutta notte sta sulla soglia 
vende a tutti la stessa rosa.

De André la cantava così, quella strada nel cuore del ghetto ebraico di Genova, un grembo lacerato dal degrado ma implorante amore, battuto dai tacchi a spillo ma vestito dell’innocenza trafitta degli ultimi. Faber ci parla dei paradisi del primo piano e del miracolo di fiori sbocciati nel letame, in una commovente preghiera che tocca le corde dell’anima, facendo brillare gli emarginati di dignitosa umanità.

Lisetta dà un volto nitido alla stessa storia, componendo una poesia di scatti su quello stesso selciato stretto tra i palazzi grigi della città. È una storia d’amore con la fragilità, quell’ombra che ha abitato la sua vita in bilico da donna ebrea in fuga e comunista, e in cui si è riconosciuta in quel Capodanno del 1964, quando si intrufolò per la prima volta nelle cronache occulte di omosessuali e travestiti. L’incontro fu folgorante e quell’anima audace, che sognava per sé la stessa libertà di uomo senza rinunciare al suo corpo di donna, decise di trasferirsi tra le architetture invisibili del volto proibito di Genova, per documentare col suo lucido sguardo impressionista emarginazione e stigma sociale.

Le sue foto sono un dono dal futuro, perché mai nel 1970 Morena – Mario Doré all’anagrafe – avrebbe immaginato di posare davanti ad un obiettivo per raccontare la sua strana ossessione di diventare suora. La stessa lei di cui ci canta De André, che vendeva frutta fresca al mercato all’angolo di via Gramsci e via Prè. Ecco la Gitana, anche lei incredula, che ammicca una sfrontata espressione da diva, rigorosamente in coppia con la Novia, instancabile seduttrice di artisti sregolati, tra cui il tenero flirt in gioventù con il pittore Filippo De Pisis. Senza tagliare fuori dall’inquadratura l’indimenticabile Elena: operaio dell’Italsider alla luce del sole, bionda in tacchi a spillo a sipario calato, che si divertiva più a gambettare nei suoi eccentrici look da travestito piuttosto  che a cuocere minestre.

Ma Lisetta stravolge le pose plastiche e la direzione degli sguardi, per restituirci racconti mai ascoltati attraverso una narrazione più sincera possibile: l’occhio meccanico diventa uno strumento di denuncia sociale, con il focus puntato sul tabù e un primo piano di verità troppo appariscenti. Il suo occhio così onesto e mai invadente fa scoccare i dardi luminosi del flash su fianchi troppo stretti cinti da vistosi corsetti, su visi incipriati e pomposi baldacchini, come un Cupido in incognito a caccia di quadretti irripetibili e spiazzanti per la pudica Italia del secondo dopoguerra. Bisogna infatti mettere a fuoco il periodo storico in cui queste scene pulsavano di vita – epoca in cui il travestimento era reato e la repressione poliziesca era minaccia ordinaria – per capire quanto coraggiosamente la Carmi si sia cimentata in una rivoluzione dello sguardo, tentando di normalizzare un discorso sulla sessualità mai così efficacemente problematizzato.

I suoi scatti verranno raccolti nel libro I travestiti, pubblicato nel 1972 e presentato da Dacia Maraini a Roma, nonostante la massiccia indignazione dell’editoria nazionale per i contenuti “scabrosi”. Oggi queste pagine della vergogna hanno scritto un capitolo cruciale della storia della fotografia italiana, plasmando l’identità divisa della mente creativa che le ha ideate. L’indole così ribelle e aliena di Lisetta Carmi ha conosciuto l’amor proprio attraverso il travestitismo di quelle maschere nude ritratte in bianco e nero, da cui l’artista ha tanto imparato. Lisetta ci ha regalato una straordinaria lezione di purezza, rubando il verso di De André che recita: “Ama e ridi se amor risponde”.

Francesca Eboli

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Francesca Eboli

Spirito irrequieto made in Naplulè che colleziona fissazioni dal 1995: andare a cinema e a teatro da sola, scovare boutique vintage invisibili e bazzicare posticini senza tempo. Laureata in lingue, scrive, recita e nel tempo libero vaga tra i quattro angoli del mondo con Partenope in tasca. Vietato chiederle cosa vuole fare da grande.
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