Sociale

Aborto e società : l’esempio dell’Umbria ci mette di fronte a noi stessi

Fonte: La Repubblica

La bufera mediatica nata dalla decisione della presidente dell’Umbria, Donatella Tesei, di vietare l’aborto farmacologico senza ricovero, è un tumulto corale che si eleva a difendere l’indipendenza decisionale della donna.

Un trambusto necessario. 

Il trambusto necessario, esatto, perché troppo è stato detto e troppo poco fatto per garantire alle donne non solo la sicurezza, la protezione, il supporto, ma soprattutto la possibilità di scegliere per se stesse. Scegliere per sé senza impedimenti, senza dover lottare, senza ricorrere a scuse da inventare, giustificazioni da dare e darsi. 

Soprattutto, quello che si vuole gridare a voce spiegata è: l’aborto è una faccenda personale, così personale da non dover essere giudicata. Nessuna donna si sottoporrebbe ad un processo così doloroso, delicato, potenzialmente pericoloso per la propria salute fisica e mentale se non avesse una ragione valida, se non sapesse di fare il proprio e l’altrui bene. E questo diritto così basilare, imprescindibile, viene calpestato da secoli, da tutta la storia dell’uomo.  La storia dell’uomo è stata, principalmente, scritta da uomini e attraverso i loro occhi, le loro posizioni, i loro punti di vista si è scolpita quelle delle donne. 

E quindi le opinioni di mariti, papi, filosofi, giudici, politici hanno definito attraverso ciò che facilitava interessi socioeconomici la condizione della donna, la sua libertà di espressione e autodeterminazione, il suo diritto inalienabile di decidere del proprio corpo. Corpo miracoloso e misterioso, ritenuto da sempre proprietà sacra o tentazione maledetta per la sua portentosa capacità di vita. Un corpo che non è mai riuscito a svincolarsi dalla sua predisposta funziona biologica, ma che di essa è divenuto schiavo. Il corpo di donna è corpo di madre, a prescindere dalla sua volontà, e il suo feto è un dono dell’uomo, o di Dio, in ogni caso lei ne è soltanto il recipiente, il vaso, il contenitore. Ma la volontà della donna di essere e sentirsi madre o meno è sempre esistita, come sono sempre esistiti tentativi e metodi abortivi, come testimoniano i papiri di Ebers nell’antico Egitto e i bassorilievi di Angkor Wat. 

Da quando esiste la gravidanza, esiste il tentativo di aborto, tanto da discutere su cosa sia davvero secondo e contro natura. 

Il fatto che i governi conservatori continuino ad usare la gravidanza e l’aborto come un’arma politica per affermare posizioni e giocare al gioco del potere ci fa regredire, ci rende meno umani, ci impedisce la prospettiva di un futuro in cui le donne possano smettere di essere vessate, giudicate, soppesate solo perché in possesso di utero fertile. 

La società aperta, che consente la scelta e tutela la salute fisica e mentale di uomini e donne in egual misura è l’unica società che dobbiamo essere disposti ad accettare, senza compromesso. Passi indietro non saranno tollerati, né supportati. 

La donna è libera, libera di scegliere se ricoverarsi, se abortire con pillola in day hospital, secondo il suo comodo, la sua volontà. Ognuna è padrona del proprio corpo, del proprio futuro e del proprio sentire, basta strumentalizzazione, basta giudizi da chi non vivrà mai una gravidanza, basta donne pronte a puntare il dito verso le altre donne. Impariamo la solidarietà, la civiltà, l’evoluzione. 

Sveva Di Palma

Sveva Di Palma

Sveva. Un nome strano per una ragazza strana. 32 anni, ossessionata dalla scrittura, dal cibo e dal vino, credo fermamente che vincerò un Pulitzer. Scrivo troppo perché la scrittura mi salva dal mio eterno, improbabile sognare. È la cura. La mia, almeno.

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