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Nessun dubbio: Palazzo Donn’Anna è femmina!

Tra le sdraio di un lido radical chic e una pizza all’elettroforno in Piazza San Luigi è impossibile non notare quell’edificio dall’architettura barocca che si staglia imponente nel cuore di Posillipo.

Uno dei panorami più belli e leggendari di Napoli che se non avete ancora visto, correte (ma senza fare assembramenti). 

Insomma intendo Palazzo Donn’Anna, quello in fondo, sulla scogliera a sinistra!

Sono tante le leggende che aleggiano tra le mura del palazzo e tutte sono femmina. La prima e la più famosa, tanto da essere citata anche in molte opere letterarie, è quella che racconta la storia della prima costruzione: Villa delle Sirene.

Secondo la leggenda, durante la dinastia degli Angioini, un bellissimo pescatore di nome Beppe era molto famoso per le sue doti da buon ammaliatore e la Regina Giovanna II, incuriosita da tante chiacchiere decise di metterlo alla prova per sperimentare le sue capacità d’amore.

Così si fece costruire, nei pressi della collina di Posillipo, in un luogo isolato, una splendida villa che chiamerà appunto La Serena, passando tre giorni e tre notti in compagnia di Beppe.

Ma di certo una Regina non poteva permettere che la sua reputazione venisse infangata e una volta usciti da lì i suoi amanti andassero a raccontare tutto, così ingegnò piccoli trabocchetti che obbligavano le sue prede a non uscire mai più dalla dimora: Beppe fu solo il primo di una lunga lista.

Giovanna prese a vizio di circondarsi dei più bei ragazzi del quartiere di Santa Lucia e dei pescatori più aitanti, ma al termine della notte di passione, questi dovevano morire: ecco che ai loro piedi si aprivano botole che davano direttamente sul mare oppure, ai più fortunati, permetteva la fuga su una barca a remi dall’entrata che oggi è possibile vedere dalla spiaggia.

Stella, la fidanzata di Beppe, distrutta dalla scomparsa dell’amato ma sospettando cosa fosse successo, visto che tutti erano a conoscenza della crudeltà della Regina, scagliò una maledizione sulla reale e sul palazzo affinché la morte la raggiungesse al più presto.

La maledizione sembra aver avuto i suoi effetti anche sui molti proprietari che si avvicendarono gli anni successivi e ancora oggi, pare che gli spiriti di questi giovani si aggirino nell’antica dimora.

Dopo il 1517 però il palazzo fu acquistato da Luigi Carafa di Stigliano, nonno di Anna Carafa, colei che sposando il viceré spagnolo Filippo Guzman, duca di Medina, ereditò il palazzo.

I due consorti per far fronte alla maledizione fecero restaurare la struttura che avrebbe poi preso il nome di Palazzo Donn’Anna, ma le operazioni di restauro non servirono a molto.

Beppe e Stella dagli abissi del mare volevano vendicarsi perché non tolleravano che i potenti potessero approfittarsi dei sentimenti delle brave persone e così si misero d’impegno.

Per inaugurare il Palazzo fu organizzata una grande festa e quella sera gli invitati dovevano prima assistere alla rappresentazione di una commedia e poi avrebbero avuto inizio le danze. La cosa curiosa era data dal fatto che, secondo la moda in voga a quei tempi, gli attori sarebbero stati gli invitati stessi. Tra questi donna Mercede de las Torres, nipote del viceré e Gaetano di Casapesenna, vecchio amante di Anna.

Anna Carafa era una donna bellissima, contesa da nobili e illustri personaggi, ma la sua fama di prestigio e la vanità le avevano procurato non pochi dispiaceri. Anche Donna Mercede era bella e giovane, con grandi occhi neri come i suoi lunghi capelli; quella sera impersonava una schiava sempre fedele al suo amato (in questo caso Gaetano) che, nella scena finale, quando doveva baciare per l’ultima volta il suo amore lo fece con un tale slancio e passione che tutta la sala scoppiò in applausi.

Tutti applaudirono, tranne Donn’Anna – e si capisce!

Nei giorni seguenti le due donne ebbero violenti scontri finché Mercede scomparve improvvisamente senza lasciare traccia. Si diffuse la voce che fosse stata presa da un’improvvisa vocazione religiosa e si fosse chiusa in convento.

Come si dice?

L’amore ti prende per mano, la gelosia per il collo!

Gaetano cercò invano la sua amata per giorni, fin quando non si arrese e partì per una battaglia mettendo fine alle sue dolorose pene; non la rivide mai più fino a che morì. Nel 1644 il duca di Medina fu nominato viceré di Castiglia e se ne tornò in Spagna e Donn’Anna si ritirò nella natia Portici dove morì di pidocchi e solitudine.

La leggenda vuole che nel palazzo si sentano, di tanto in tanto, i lamenti dei due innamorati destinati a non incontrarsi mai più, tormentati dalla gelosia, anche in morte, di Anna Carafa.

Comunque sia, il palazzo ancora oggi, dopo anni di ristrutturazioni mai portate a termine si erge a picco sul mare come uno dei più belli di tutta Napoli. Nei secoli è stato utilizzato come fabbrica di cristalli, poi come albergo, ma oggi è diviso tra più proprietari che lo hanno frazionato in vari condomini, rendendolo un’abitazione privata e quindi anche impossibile da rendere museo.

Palazzo Donn’Anna non è visitabile – per la gioia dei suoi inquilini – ma si può solo accedere via mare dalla spiaggetta libera su cui si staglia, a cui quest’anno, probabilmente, ci tocca rinunciare e fare di una semplice foto il nostro posto nel mondo.

Lì è dove l’ho visto per la prima volta e lì ho deciso di innamorarmene.

Il sole batteva forte e la salsedine del mare di Napoli dava tutto un altro profumo, non so dire esattamente quanto tempo fosse passato dall’ultima parola detta ma io e i miei amici stavamo tutti fantasticando sulla stessa cosa.

Ma voi ve lo immaginate affacciarsi ogni giorno da questo terrazzo?

Poi uno di loro ha detto: – Non potrei mai essere triste con una vista così!

E allora questi sono i pochi momenti in cui ti voglio bene, cara Napoli.

Serena Palmese

Vedi anche: Pietre d’inciampo, la memoria di Napoli al civico 33

Serena Palmese

Mi piacciono le persone, ma proprio tutte. Anche quelle cattive, anche quelle che non condividono le patatine. Cammino, cammino tanto, e osservo, osservo molto di più. Il mio nome è Serena, ho 24 anni e ho studiato all’Accademia di belle Arti di Napoli. Beati voi che sapete sempre chi siete. Beati voi che sapete sempre chi siete.

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