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Il calcio: non leggere questo articolo

Oggi parliamo di calcio.

Tutti conoscono il calcio. O meglio, tutti parlano di calcio. Il calcio è uno degli sport più amati del mondo. Anzi il primo visto che il numero di fan è di circa 3,5 miliardi di persone. A seguire il cricket. Il cricket? Rivelazione della nostra classica è proprio lui, il tanto amato, desiderato, incompreso cricket. Conoscete questo gioco e le sue regole? Io no, quindi se vi interessa andate a cercarlo. Io devo parlare di calcio.

Il calcio, come il cricket, è uno sport di squadra, giocato fra due gruppi di undici giocatori. Ma questo lo sapevate già. Questo articolo fa più schifo dell’autore.

Lo sapete perché si gioca in undici? Perché, in Inghilterra, dov’è nato il calcio moderno, così come noi oggi lo conosciamo, nelle università le classi erano composte da dieci studenti e a questi si aggiungeva il maestro. Nacque, in questo modo da me narrato, la consuetudine di giocare in undici.

Io amo il calcio. Ho sempre amato questo sport, poi ho iniziato ad odiarlo, come tutte le cose. L’amore si è sempre trasformato in odio, un odio che allo stesso tempo ama scorticare la mia anima tormentata.

Chiedo scusa. Non so perché vi sto dicendo queste cose. Ma la psicologa mi ha detto di scrivere sempre tutto ciò che penso. Solo che non era questo il momento adatto.

Scherzavo, era una battuta, non vado dalla psicologa. Dovrei iniziare. In ogni caso se state leggendo ancora questo articolo, dovreste iniziare anche voi. (ridere)

Il calcio, danzare su un verde prato, colpendo un pallone argentato, a volte con grazia a volte con forza, sperando di penetrare quella dannata porta. Che bella poesia! Non ricordo dove la lessi, mi colpì subito, tanto che la scrissi sul mio diario per farla leggere alla psicologa. Non ricordo neanche l’autore. Se mi viene in mente ve lo dirò, promesso.

Io ho giocato molti anni a calcio, quattordici per essere preciso. Ero molto forte, a volte. Nel senso che in alcune partite sembravo un fenomeno mentre in altre ero inguardabile. Ecco inguardabile è il termine esatto. Con il passare degli anni insieme al crescere dei bicchieri, delle serate, delle feste, delle sigarette e, ovviamente, delle sigarette nonsolotabacco, cresceva anche il numero di partite in cui facevo vomitare.

Ho dovuto fare una scelta e se sono qui a parlare di calcio, della mia psicologa, del cricket e della mia anima tormentata, sapete bene quale è stata la mia scelta: ho rinunciato al calcio. E mi manca, quanto mi manca.

Quei novanta minuti in cui tutto si fermava, tutto restava fuori, eri solo tu, il pallone, i tuoi compagni, a lottare. Sotto la pioggia, la neve, la grandine, a correre e a sudare. Quella terra, quel fango, quelle scarpe rotte, quei goal, quelle vittorie e quelle sconfitte. Credo di aver amato follemente la mia vita solo quando giocavo a calcio. Anche ora la amo, solo un po’ di meno. 

Com’era quella frase? Ama la vita e lei ti amerà o sorridi alla vita, vabbè ci siamo capiti. Quella frase credo sia una grandissima cazzata.

Ma la vita mica è un cane? Dici okay ama il tuo cane e lui ti amerà, posso capirlo è corretto.

Ma la vita? È un coacervo di persone, di parole, di critiche, di menzogne, di guerre, di malattie, di inguaribili ferite, di morte. Non amate la vita, quella fa schifo. Lo sappiamo dai, è inutile negarlo.

Odiatela se preferite ma non è lei che dovete amare. Dovete amare le persone che vi stanno affianco, quelle che non vedete.

Quelle che non considerate neanche esseri umani.

Dovete amare chi scappa dalla guerra, chi annega in mare, chi muore di fame. Sono loro che dovete amare. Loro sono poveri perché noi siamo ricchi.

Questa è la sola verità. Alcune persone guadagnano con la guerra, con le armi, con le malattie, con la povertà. Guadagnano! Forse non ce ne rendiamo conto anche se è così evidente. Anzi, è talmente evidente che sembra impossibile. Quanto guadagnano? E chi lo sa.

Stavamo parlando di calcio? Bene continuiamo.

Anzi no, mi è passata la voglia! Come diamine facciamo a parlare di calcio? Come? Con tutto quello che succede nel mondo. È proprio questo il problema.

Continuiamo a parlare di calcio quando degli esseri umani annegano in mare, quando altri muoiono di fame. Continuiamo a parlare di calcio mentre bambini, bambine, ragazzi e ragazze che potrebbero essere nostri figli, lavorano nelle miniere. Scavano con le mani lo scheletro di quello che abbiamo noi qui tra le mani. Un computer, un telefono, poco importa.

Continuiamo a parlare quando “criminali” vengono chiusi in una cella invece di essere presi per mano e aiutati. Senza chiedersi perché si diventa criminali. Forse, si diventa criminale perché nessuno ti ha seguito, forse perché non hai il pane a tavola, forse per vendicarti. Si diventa criminali perché, probabilmente, si vuole sempre di più. Sempre più denaro, sempre più potere.

Una cosa è certa: il colpevole è la ricchezza. Se nel mondo del calcio, così come in altri sport, circolano miliardi, cosa pensate ci sia dietro allo stato, dietro le grandi istituzioni, dietro le banche, dietro le multinazionali, dietro la chiesa, dietro chi produce armi, cosa? Cosa?

Una quantità di denaro e di potere capace di ribaltare il mondo, di salvare milioni di vite, di ricostruire migliaia di città.

Le cose non cambieranno mai perché gli unici che hanno il potere di farlo sono proprio quelli che non vogliono cambiare nulla. E così tutto tace, tutto resta uguale.

Continuiamo ancora ad ucciderci, a farci la guerra, a voltare le spalle a chi non è come noi. Purtroppo non abbiamo ancora capito chi è il vero nemico e quando lo capiremo sarà troppo tardi.

Nel frattempo, continuiamo a parlare di calcio. È meglio.

Di Mariangelo D’Alessandro

Vedi anche: Calcio: mas que un “sport”

Mariangelo D'Alessandro

Mariangelo D'Alessandro nasce il 1 aprile 1995 a Salerno. Si diploma al liceo scientifico Parmenide di Roccadaspide e si iscrive alla facoltà di Lettere Moderne a Napoli, dove attualmente studia. Collabora con la Testata - Testa l'informazione fin dai suoi albori come redattore e attore. Nel febbraio del 2018 pubblica il suo primo romanzo "MDA".

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