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Sognavo solo di fare canestro. Storia del Tam Tam Basket

Ius Soli, ovvero diritto del suolo. Tutto comincia qui, da una parte le immense aule di parlamento dove il diritto ad essere riconosciuti, in quanto esseri umani con pieni diritti, diventa spot strumentale di bandiere politiche, dall’altro lato quei 10 chilometri di un lembo di terra chiamata Castel Volturno nell’entroterra campana.

Nel mezzo, tra decreti, politica nazionalista e una terra dimenticata, c’è il progetto chiamato “Tam Tam Basketball”. Ragazzi di colore, tutti adolescenti, italiani di seconda generazione ma figli solo di una mamma Africa e di una patria di residenza che fatica a riconoscerli. Giocano a pallacanestro, sognano di volare come l’icona dell’immaginario Air Jordan o semplicemente sognano egualità nel diritto universale e fondamentale: il diritto al gioco.

Un progetto che nasce con pochi decisi passi, quelli di Massimo Antonelli ex cestista professionista che dopo aver girato l’Italia e aver chiuso la carriera a Napoli decide di dar vita a questo piccolo sogno con altri due soci. Elementi scarni ma che avevano già le sembianze di una luce di speranza. Pochi palloni usati, i chilometri di spiaggia per allenarsi nella vastità di uno scenario dalla cupa suggestione. Una terra che aveva ardito l’ambizione di sognare la California, una ricca riviera ma a cui rimangono solo il disfacimento di palazzoni di cemento e la voglia di farcela e risalire, partendo magari proprio da quegli oltre 15 mila migranti residenti. Un po’ Accra, un po’ Abuja e Kingston, un po’ Caserta, da questi luoghi nasce il sogno dei figli di migranti e di chi riesce a sfondare le porte della burocrazia nazionale. Tam Tam costituisce il primo caso di Ius Soli sportivo in Italia.

Di fatti, gli oltre 40 ragazzi nati e cresciuti in Italia, ma figli di genitori stranieri dopo aver ottenuto l’accesso all’impianto sportivo di Castel Volturno rimesso insieme grazie ad una campagna di crowdfunding e aver vinto il campionato dilettantistico under 15, si sono visti porsi una porta sbarrata in viso. Era la porta della ferruginosa burocrazia italiana sottesa anche nell’ambito sportivo del campionato under 16, ottenuto di diritto dopo la vittoria sul campo, ma che prevedeva l’accesso di squadre con un massimo di due stranieri per team. Ad oggi, è una nuova vittoria per il progetto Tam Tam Basketball, di fatti, in attesa di una nuova legge in ambito sportivo, che eguagli i settori giovanili italiani al resto del mondo, ha permesso grazie ad un ricorso al TAR di poter partecipare al campionato suddetto.

La luce di speranza arriva grazie alla legge di bilancio che contiene la possibilità di tesseramento annuale, e dunque l’iscrizione ai campionati sportivi, anche ai minorenni extracomunitari, anche se non in regola con i permessi di soggiorno purché abbiano però svolto un ciclo scolastico di almeno quattro mesi. La norma viene introdotta, viene spiegato da fonti di governo, nel rispetto del principio del “diritto allo sport per tutti”.

Per adesso, come un canestro segnato alla fine di un quarto la squadra di casa vince, ma la partita è ancora lunga. Vince Castel Volturno, la terra dimenticata, prima sedotta dai grandi sogni edilizi e poi annegata nell’oblio della dimenticanza. Vince tutta una generazione di giovani italiani figli di immigrati che sognano il diritto al gioco e il diritto all’inclusione e vince anche il bellissimo credo che si pone questo progetto e che risuona forte anche sulla loro pagina ufficiale:

“Tam Tam Basket è una storia che hanno provato a raccontare in tanti: è una storia di passione e partecipazione, di mobilitazione sociale e di orgoglio personale.

Tam Tam Basket è un’idea nata dalla voglia di avere un impatto positivo sulla vita di tanti ragazzi che sono ancora ai margini dell’inclusione.

Tam Tam Basket è un’opportunità, forse è un sogno, ma di sicuro è già una realtà che ha cambiato la vita di tanti ragazzi di Castel Volturno.

Tam Tam Basket è riscatto sociale, è amore per lo sport ed è la gioia di mettere in campo i giusti valori”.

Claudio Palumbo

Claudio Palumbo

Mi chiamo Claudio, classe “non” di ferro 1989. Se dovessi descrivere il grosso contenitore attitudinale della mia vita sarebbe quello con il post it “feticista della cultura pop e contemporanea”. A cucire con filo i tanti tessuti di uno stesso vestito è la scrittura, redazionista per diversi web magazine, ufficio stampa e versi folli e sciolti.
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