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Chi ha detto che l’arte non può essere porno?

di Marzia Figliolia

Nel 1964, il Giudice della Corte Suprema degli U.S.A. Potter Stewart fornì una delle più accurate definizioni di pornografia mai pronunciate: “Il porno lo riconosco quando lo vedo”. In quel caso, il Giudice stava difendendo il film francese The Lovers di Luis Malle, in cui Jeanne Moreau interpreta con dovizia di particolari una casalinga adultera.

Il film, all’epoca tacciato come indecente, è piuttosto blando per i nostri tempi divisi tra YouPorn e scandali politici a base di escort, pornostar e minorenni; eppure, ancora oggi in tutto il mondo, artisti e accademici discutono della linea, a volte sottilissima, che divide l’arte dalla pornografia. Una discussione resa ancora più attuale dall’introduzione contemporanea del video come mezzo di espressione artistica.

Può una sex tape essere arte? Ci si chiede. Sicuramente si può discutere di arte anche durante le riprese di una sex tape. È quanto fecero nel 1979 l’icona punk americana Kathy Acker e l’artista concettuale Alan Sondheim: nel film Blue Tape, i due parlano animatamente di Freud, filosofia e arte nel mezzo di un rapporto sessuale, mostrando alla telecamera come i rapporti di potere cambino durante il sesso e come, nella frenesia di dare e ricevere piacere, sia difficile mantenere il controllo della situazione.

Di Blue Tape, la curatrice Jenny Schlenzka disse non fosse pornografico, poiché “non era fatto per essere eccitante”; ma in Who says that pornography can’t be art? (2012), Hans Maes, ricercatore dell’Università del Kent, espone un punto di vista diverso, sfumando molto i confini tra i due ambiti. Quattro sono le principali caratteristiche che distinguono arte e pornografia, secondo Maes, e nessuna di queste ha senso.

Punto uno: la pornografia è esplicita, l’arte no.

Come aveva provato il film della Acker, l’arte può essere esplicita quanto la pornografia, sebbene il suo scopo sia diverso: “il porno nasconde ciò che rivela, mentre l’arte rivela ciò che nasconde”.

Punto due: la pornografia sfrutta il corpo femminile, è volgare, dannosa e immorale.

Da Camille Claudel ad una qualsiasi delle amanti di Pablo Picasso, non è difficile ritrovare pittori e scultori che hanno distrutto le vite delle loro muse utilizzandole come linfa del loro processo creativo.

Punto tre: la pornografia è un’industria che produce per le masse.

Questo terzo punto non può che essere smentito da tutta l’arte del ventesimo secolo, e in generale da ogni prodotto artistico che sia mai stato venduto o esposto per il piacere della massa.

Punto quattro: la risposta che provoca la pornografia è differente.

È interessante notare, conclude Maes, come si parli di “consumare” il porno e “apprezzare” l’arte: i due approcci, tuttavia, non sono mutualmente esclusivi.

Forse, nessun intervento artistico “spiega” meglio il punto di vista di Maes quanto le Head Shots di Aura Rosemberg. In questa serie cominciata nel 1995 e tutt’ora in corso, la Rosemberg ritrae in elegantissime fotografie in bianco e nero le espressioni di alcuni uomini… nel momento dell’orgasmo.

È un modo stranissimo, per un uomo, di essere ripreso – spiegò l’artista – solitamente, nella pornografia, è il piacere della donna ad essere veicolato attraverso un’inquadratura del suo viso, mai quello dell’uomo.

Per lei hanno “posato”, oltre al marito e ad alcuni amici, moltissimi artisti: tra loro, l’icona dell’arte contemporanea John Baldessari, che in seguito così descrisse l’esperienza: “Senza dubbio, la più piacevole foto che mi sia mai stata fatta. Ora la cosiddetta petite morte è congelata in una vita eterna: l’orgasmo più lungo che io possa ricordare!”.

John Baldessari 

Maes concludeva il suo saggio incoraggiando altri artisti a raccogliere la sfida di creare arte che fosse intensa, potente, sessuale, violenta, senza preoccuparsi di sconfinare nel pornografico. Ché, alla fine, molto più interessante che creare distinzioni saranno sempre quei lavori capaci di spingersi oltre il confine tra i due mondi: quello dell’arte e quello del porno.

Foto di Carolee Schneemann, Fuses1965

Marzia Figliolia

Ci sono tre categorie di persone che rischiano di finire sotto una macchina ad ogni incrocio: i distratti; quelli che hanno una melodia in testa e la testa tra le nuvole; quelli che pensano a cosa scrivere nella propria bio quando arriveranno a casa. Io appartengo a tutte e tre le categorie.

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