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Cosa rimane di Freud (e della psicoanalisi), oggi

di Ferdinando Ramaglia 

Il rapporto tra psicoanalisi e neuroscienze.

Tra il 1915 e il 1917 un neurologo Viennese, Sigmund Freud, illustra davanti ad un pubblico di medici e scettici le assunzioni del suo modello di mente, ridimensionando il riflesso dell’uomo nella società. La comunità Austriaca − e da lì in poi tutto il resto del mondo − viene sconvolta dal sapere che l’umano è un essere che desidera senza appagare il proprio desiderio, che di esso è visibile solo la superficie e che in ognuno di noi c’è qualcosa che finge.

Oggi, nel 2018, la struttura topica della mente e il concetto di inconscio di Freud sembrano essere superati dai progressi della scienza; ormai è possibile vedere cosa c’è dentro la nostra testa, nel vero senso della parola.
I neuro-scienziati hanno scrutato nella nostra scatola cranica e, guarda caso, hanno trovato un cervello, che per definizione è un complesso organo elettrochimico -cioè composto di ioni quali sodio, potassio, calcio, di carica positiva e negativa − che se stimolato in una determinata area cerebrale produce una risposta involontaria e che se scarica o inibisce un determinato neurotrasmettitore, provoca una determinata reazione emotiva; tali assunti bastano e avanzano per determinare che la causa di ogni nostro male più intimo deriva da un malfunzionamento organico.

Nessuno può mettere in discussione la parola della scienza ma il filosofo Slavoj Žižek sostiene che i risultati dei neuro-scienziati possono sì spiegare come il cervello funziona, ma non possono venire a capo della complessità con cui facciamo soggettivamente esperienza del mondo. Žižek, inoltre, sostiene anche che la neuroscienza non fa altro che confermare le ipotesi della psicoanalisi nella misura in cui essa non giustizia il patrimonio lasciato da Freud, ma lo arricchisce e lo completa.
Oggi psicoanalisi e neuroscienze iniziano a dialogare, superando il riduzionismo di chi vuole tenere separati i due logoi attribuendo alla fisica e alla matematica il compito di sostituirsi alla filosofia, da un lato, come sostiene Fayerabend, per timore della complessità associato ad uno spasmodico bisogno di semplificazione, dall’altro per l’arroganza di chi si sente vincitore; una posizione che alcune discipline scientifiche detengono grazie alla loro contiguità con strutture finanziarie e industriali.

Mark Solms e Jaak Panksepp hanno favorito la nascita della neuro-psicoanalisi, una scienza che analizza le correlazioni fra alcune funzioni del sistema nervoso e diversi concetti fondamentali della psicoanalisi come quello di inconscio e il significato dei sogni.
Sono stati condotti numerosi studi dedicati all’analisi dei rapporti fra gli aspetti della memoria, implicita, esplicita, episodica, ecc., e l’inconscio Freudiano.
Per definizione uno stato mentale inconscio deve avere la potenzialità di divenire cosciente, in questo senso soltanto le informazioni collegate alla memoria esplicita (episodica e autobiografica) possono diventare inconsce. Su tali scoperte la scienza tende la mano alla visione della mente di Freud. Egli, infatti, ambiva al Nobel per la medicina; probabilmente oggi sarebbe il primo candidato a vincerlo. Tuttavia il rifiuto verso la psicoanalisi non riguarda solo l’ambito scientifico, ma anche l’opinione comune.

Essere psicoanalizzato, oggi, significa lasciar entrare senza permesso un’altra persona nella propria psiche, come se fosse così semplice oggi capire qualcosa in più dell’ombra − per dirla alla Jung − dell’altro.
La psicoanalisi è tutt’altro che così immediata, anzi è un processo lento e consistente. Allo psicoanalista non basta il racconto di un sogno o uno sguardo per capire chi sei, tantomeno una seduta. Per Freud sai già chi sei, il punto è che credi di non saperlo.
Dunque il lavoro della psicoanalisi sta nel portare alla luce, come un archeologo − metafora che egli utilizza nel suo saggio “Costruzione nell’Analisi” − la città sommersa dentro di noi, ricostruendo le strade dimenticate che credevamo perdute per sempre, ma che sono sempre state là.

Se sappiamo di non sapere lo dobbiamo solo a Freud.

La Redazione

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